Descrizione
ISBN: 9788888926643
Pagine: 204
CONTENUTO
Questa nuova monografia critica su Albert Camus si caratterizza, tra le tante pubblicate in occasione del centenario dello scrittore franco-algerino, per la decisa e motivata presa di distanza, da parte dell’autore, dalle troppe intepretazioni ideologiche e politiche che la vicenda umana di Camus e la sua produzione (saggistica, narrativa, teatrale) hanno avuto fin da quando gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura (1951). François Livi, autorevole studioso francese, già docente di Letteratura Italiana alla Sorbona, in questo saggio documentatissimo ma di agevole lettura lascia parlare soprattutto lo stesso Camus, il quale rifiuta l’etichetta di filosofo esistenzialista e difende la sua libertà di espressione, unicamente finalizzata a narrare e ad analizzare con la massima sincerità la propria esperienza di uomo che non si rassegna né all’ipocrisia di chi finge di ignorare i mali della vita né alla disperazione di chi teorizza la falsa soluzone del suicidio.
Seriamente impegnato in una sofferta ma sempre lucida ricerca della verità, Albert Camus è famoso per opere come Il mito di Sisifo, L’uomo in rivolta, La caduta e La peste. Da queste e da tutte le altre sue opere, servendosi anche delle polemiche con i suoi critici (tra i quali il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre), François Livi ricava i dati per elaborare un’immagine dello scrittore non ideologica, sconcertante nella sua complessità e affascinante nella sua sincerità.
L’AUTORE
François Livi (1943), molto noto in Francia per i sui studi critici sulla letteratura italiana da Dante a Eugenio Corti (che l’editore L’Age d’Homme ha ultimamente raccolto nel monumentale volume intitolato Italica), ha pubblicato parecchi saggi anche in Italia, e tra questi, oltre all’originale e profondo studio intitolato Dante e la teologia (edito dalla Leonardo da Vinci), una nuova edizione critica del romanzo Un uomo finito di Giovanni Papini (anch’essa edita dalla Leonardo da Vinci). Inoltre, proprio su Camus aveva scritto un agile volumetto critico negli anni Settanta del secolo scorso. Questo suo nuovo lavoro si avvale di lunghi anni di approfondimenti e discussioni in Francia e in Italia.
Casa Editrice –
Albert Camus. Alla ricerca della verità sull’uomo di François Livi
Recensione di Giovanni Covino
«Dicevo che il mondo è assurdo, e andavo troppo in fretta. Il mondo in se stesso non è ragionevole, ecco tutto quello che si può dire». Ho incontrato questa frase di Albert Camus (1913-1960) in una bella monografia del 2013 di François Livi, noto italianista della Sorbona di Parigi, intitolata Albert Camus. Alla ricerca della verità sull’uomo. Si tratta di un volume che esamina criticamente il pensiero del filosofo francese la cui opera venne definita come un lavoro capace di mettere «in luce i problemi che si pongono ai nostri giorni alla coscienza degli uomini».
L’opera di Camus vive, infatti, delle inquietudini di un cuore lacerato che sente tutto il peso della vita, ma, nel medesimo tempo, capace di cogliere la bellezza della stessa, anche se una bellezza sempre “macchiata” dall’assurdità dell’esistenza: l’affetto di una madre, la felicità di un momento, la bellezza di un paesaggio, l’amore di una donna sono sempre accompagnati dall’ombra della dissoluzione. Sin dalle prime opere (esemplari in questo senso sono i cinque saggi de Il rovescio e il diritto, 1937) si avverte questa tensione: da un lato, la presenza costante di tutto quello che combatte la vita (malattia e morte), dall’altro, l’esaltazione della bellezza del mondo della natura che al vuoto, spesso avvertito dall’autore, sostituisce il pieno della contemplazione, una contemplazione, però, priva del richiamo alla trascendenza; tutto si svolge a partire dal mondo e si conclude nel mondo: «Nelle prime prove di Camus – scrive Livi – domina già la presenza ossessionante della malattia e della morte. Quest’ombra minacciosa esalta e tende a moltiplicare all’infinito l’innato desiderio dell’uomo di godere del mondo e delle sue bellezze, di sostituire alle promesse di eternità l’intensità e la pienezza della vita. Giacché al di fuori di questo mondo e del momento presente non vi è alcuna certezza».
Notiamo in queste parole che il discorso dello scrittore francese tende all’esaltazione dell’istante ed è caratterizzata, come poc’anzi dicevo, dalla negazione di qualsiasi valore assoluto: la ricerca, almeno in questa prima fase, ha come fine «una simbiosi tra uomo e natura», è questo il tema dei quattro racconti che compongono il volume del 1939, Nozze. L’esaltazione della natura porta Camus a trasfigurare questo mondo, cercando di eliminare qualsiasi ombra, qualsiasi traccia di non-essere, mostrando il desiderio naturale di ogni uomo di godere della pienezza della vita, che mai verrà raggiunta (un desiderio destinato alla frustrazione).
La ricerca di Camus trova certamente uno dei punti più alti ne Il mito di Sisifo, dove la condizione umana è analizzata con lucidità. Camus mette a nudo le sue perplessità cercando di trovare una via da percorrere, sempre rifiutando l’Assoluto, considerato un sotterfugio: «Dicevo – afferma lo scrittore – che il mondo è assurdo, e andavo troppo in fretta. Il mondo in se stesso non è ragionevole, ecco tutto quello che si può dire. Ma ciò che è assurdo è il confronto tra questa irrazionalità e il desiderio struggente di chiarezza il cui appello risuona nel più profondo dell’uomo. L’assurdo dipende tanto dall’uomo quanto dal mondo. In un universo privo di illusioni e di luci, l’uomo si sente un estraneo. Questo esilio è senza appello, giacché l’uomo è privo dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l’uomo e la sua vita, l’attore e la sua scena, è propriamente il senso dell’assurdo».
Di fronte a questa situazione l’uomo ha tre soluzioni: affidarsi a Dio (scelta che per Camus è più una fuga che una soluzione), il suicidio o la rivolta, un atteggiamento orgoglioso contro l’assurdità. Solo quest’ultimo atteggiamento è ammesso da Camus, in quanto esso è l’unica soluzione capace di mostrare la grandezza e la dignità dell’uomo.
Albert Camus (1913-1960)
Albert Camus (1913-1960)
Per lo scrittore francese esiste sola le realtà che cade sotto i nostri occhi, e il precario equilibrio dell’uomo consiste nel conferir loro una proiezione di eternità, immortalandole almeno con il ricordo, ma questo tentativo rimane pur sempre accompagnato dall’ombra dell’assurdità, dal desiderio dell’uomo di una risposta e dall’angoscia che segue il silenzio, l’assenza di una risposta. Insomma tutto è accompagnato dal fatto incontestabile (e doloroso) della finitezza.
Nonostante l’acutezza dell’analisi di Camus, resta la domanda: possiamo davvero trovare nel mondo, come vuole lo scrittore francese, una risposta esaustiva agli interrogativi che albergano nel cuore dell’uomo? L’angosciosa ricerca deve necessariamente sfociare in tragedia? O c’è un’altra soluzione? È davvero senza risposta l’interrogativo che Camus pone in una delle sue opere?
«Il cielo si copre – scrive Camus ne Il Malinteso -. È così in tutte le camere d’albergo, tutte le ore della sera sono difficili per l’uomo solo. Ed ecco ora la mia vecchia angoscia, là nel vuoto del mio corpo, come una brutta ferita che il movimento irrita. Conosco il suo nome. È la paura della solitudine eterna, timore che non vi sia risposta. E chi risponderebbe in una camera d’albergo?»
Solo rispondendo a questa domanda possiamo superare «lo stadio della negazione» lucidamente descritto da Albert Camus nelle sue opere.