Descrizione
L’esperimento metodologico di Edith Stein (1891 – 1942), che tentò di assumere le categorie metafisiche del pensiero di Tommaso d’Aquino senza abbandonare del tutto le categorie fenomenologiche del pensiero di Edmund Husserl, viene qui valutato nei suoi esiti finali da Cornelio Fabro, autorevole interprete sia della metafisica di Tommaso d’Aquino che della fenomenologia di Husserl. In questo suo saggio del 1989, scritto prima che Giovanni Paolo II canonizzasse come martire Edith Stein, il pensatore friulano esamina con il massimo rigore epistemologico la consistenza speculativa di una nuova filosofia cristiana proposta dalla filosofa tedesca dopo la sua conversione dall’ebraismo al cattolicesimo. Fabro, pur riconoscendo ed esaltando la sincera passione per la verità che animava la santa (deportata e uccisa dai nazisti in odio alla fede), evidenzia il sostanziale fallimento del suo tentivo di conservare il valore realistico ed esisenziale della metafisica tommasiana una volta inserita nel contesto dell’analisi eidetica husserliana.
Gli Autori
Questo saggio inedito di Cornelio Fabro (1911 – 1995) fa parte delle numerose opere di critica storico-filosofica del grande metafisico italiano.
Il suo giudizio sugli esiti del progetto di Edith Stein è presentato da Giovanni Covino, che ne rileva l’importanza nel contesto delle ricerche sulla filosofia cristiana nel Novecento, mentre Antonio Livi, nella Postfazione, inquadra il discorso di Fabro sulla Stein nel più ampio problema della compatibilità tra realismo metafisico e fenomenologia.
Casa Editrice –
Moderno e antimoderno nella tragedia tedesca
Recensione di Piero Vassallo, in Riscossa cristiana
“Il tomismo può e deve dimostrare come, dalla priorità fondamentale che compete all’essere sul pensiero, la ragione è sempre in grado di muoversi nel reale secondo l’apertura delle sue possibilità, così da riportare al fondamento della vita dello spirito le vie inesauribili che l’uomo tenta senza posa”. (Cornelio Fabro)
E’ arduo e forse impossibile risalire alla vera causa della spaventosa tragedia, che si è consumata nella Germania del XX secolo, senza prestare attenzione al furore ateista, soggiacente al criminoso e tenebroso antisemitismo professato dai nazionalsocialisti.
L’antisemitismo tedesco, infatti, era segnato da una invincibile avversione al Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento, un odio che ispirava il folle progetto di stravolgere la fede cristiana, riducendola a cieco strumento della incubo egemonia tedesca in Europa.
Al fine di confutare il c. d. cristianesimo tedesco, Pio XI, il 14 marzo del 1937, pubblicò l’enciclica Mit brennender Sorge, un documento che accusava i nazionalsocialisti “di intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica, di una sola nazione, Dio, Creatore del mondo, Re e Legislatore dei popoli, davanti alla grandezza del quale le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua”.
L’antisemitismo, in definitiva, era una “pia” maschera dell’ateismo strisciante (più o meno occultamente) nella Germania, teatro del calamitoso pensiero moderno, circolante da Lutero a Heidegger e da Hegel a Goebbels.
Vero è che l’avversione agli ebrei contemplava alcune curiose e oscure eccezioni, ad esempio l’impunità e la tranquillità garantita ai filosofi ebrei, al lavoro in continuità con l’ateismo filosofante professato dagli eredi tedeschi di Kant e di Hegel.
Esemplare, al proposito, è la vicenda di Edmund Husserl (1859-1938) un famoso filosofo ateo, la cui fedeltà alla recente tradizione tedesca (ovvero alla mitologia ateista, strisciante nella fenomenologia) fu apprezzata e apertamente lodata dai redattori del giornale delle Schutz-Staffeln.
Ora la puntuale confutazione della filosofia di Husserl è opera di una sua geniale e dissenziente allieva, Santa Edith Stein (1891-1942), la filosofa che, convertitasi alla vera fede, si fece monaca carmelitana, prima di essere deportata e assassinata nel campo di concentramento di Auschwitz.
Al pensiero della geniale Santa e Martire è dedicata la puntuale opera di Cornelio Fabro, “Edith Stein tra Husserl e Tommaso d’Aquino”, edita a cura di Giovanni Covino e Antonio Livi e distribuita nel corrente anno dalla Casa editrice Leonardo da Vinci, attiva in Roma.
A proposito della conversione della filosofa e santa martire Edith Stein, Cornelio Fabro ha scritto: “la Stein, per salvare la sua fede e i suoi fondamenti religiosi e filosofici ha compiuto il suo parricidio di denunziare l’ateismo di fondo del metodo moderno d’immanenza e in particolare dell’idealismo del suo maestro Husserl, con un esempio insigne – si dica pure eroico – di fedeltà alla propria scelta cristiana”.
Di seguito, Fabro ha rammentato il puntuale argomento in forza del quale Santa Edith avviò la confutazione dell’ateismo di Martin Heidegger: “mediante l’unica accentuazione della caducità dell’esistenza, dell’oscurità che la precede e la segue, della preoccupazione, si esige [Heidegger esige] una concezione pessimistica, anzi nichilistica e così l’orientamene dell’Essere assoluto col quale la nostra fede sta, è sepolto”.
La Stein, tuttavia, non riuscì ad attuare l’onesta intenzione di superare, in via definitiva il soggettivismo, che ha origine nella radice del pensiero moderno, da Cartesio a Husserl fino a Heidegger.
Al proposito l’autorevole Antonio Livi sostiene che “il metodo fenomenologico non può prescindere dalla centralità assoluta del soggetto, mentre il realismo conferisce centralità assoluta all’esistenza delle cose: quelle cose che il soggetto pensante può intenzionare e quindi rendere oggetto, divenendo così capace di prendere coscienza di sé come soggetto”.
Per i pensatori di scuola fenomenologica, Santa Edith inclusa, “il soggetto funge da fondamento epistemologico, senza il quale non avrebbe senso parlare di oggetti (fenomeni) e, conseguentemente, non avrebbe senso parlare di verità/falsità come valore intrinseco del pensiero”.
Di seguito Fabro ha affermato che le conseguenza dell’approccio imperfetto alla realtà “di chi, come la Stein, è rimasto sostanzialmente fedele alle premesse metodologiche di Husserl, sono certamente apprezzabili per le intenzioni sinceramente costruttive che le motivano, ma non reggono all’esame della coerenza aletica: la loro giustificazione epistemica è debolissima, in quanto compromessa in partenza dalla scelta metodologica di mettere tra parentesi l’esistenza del mondo”.
In ultima analisi è da respingere la tentazione di rammentare la santità dell’autrice per sostenere la verità delle deboli tesi filosofiche che ella ha formulato allontanandosi insufficientemente dalla lezione di Husserl.
Hanno dunque la ragione il grande Fabro e al suo seguito il sagace Livi, quando affermano il parziale fallimento del tentativo, compiuto dalla Stein, di accordare le verità del tomismo con concetti desunti dall’opera di Husserl.
D’altra parte è doveroso riconoscere che Edith Stein – a differenza del disinvolto Karl Rahner – non ha permesso che l’ombra degli errori (peraltro correggibili facilmente) alterasse la santità vissuta fino al supremo sacrificio.
In conclusione è lecito affermare che, confutando le sottili suggestioni della filosofia husserliana, Fabro ha portato a termine l’opera di Santa Edith, attuando il progetto inteso ad elevare un argine idoneo ad impedire o almeno a contrastare impavidamente l’accesso, nella teologia post conciliare, degli errori, che sono diffusi dalle furenti scorrerie dei seminatori di decrepite superstizioni e fatue modernizzazioni nelle menti deboli dei novatori e dei loro sfortunati allievi.