Descrizione
L’OPERA
Il volume intende offrire ai fedeli una guida sicura per interpretare rettamente la discussione in atto tra quanti sono favorevoli alle tesi “pastorali” del cardinal Kasper (ta qesti, il cardinale Marx) e quanti invece (come i cardinali Müller, Caffarra, Brandmüller e Sarah) propongono una pastorale che applichi efficacemente la dottrina della Chiesa sulla sessualità umana e sul matrimonio.
DALL’INDICE
Antonio Livi LA VERITÀ RIVELATA, TRA INTERPRETAZIONE DEL MAGISTERO E INTERPRETAZIONE DEI TEOLOGI
Enrico Maria Radaelli CHE COSA PUÒ CAMBIARE E CHE COSA NON PUÒ CAMBIARE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA
Stefano Carusi LA TESI DI KASPER SULLA “MISERICORDIA” SI RICOLLEGA PIÙ ALL’ERESIA LUTERANA CHE AL DOGMA CATTOLICO
Antonio Livi IL MAGISTERO NON FARÀ MAI PROPRIE LE PROPOSTE DI RIFORMA PASTORALE CHE CONTRADDICONO IL DOGMA INVECE DI INTERPRETARLO
GLI AUTORI
Stefano Carusi è il coordinatore della rivista informatica Disputationes theologicae.
Antonio Livi, presidente dell’Unione Apostolica “Fides et ratio” perla difesa scientifica della verità cattolica, è l’autore del trattato su Vera e falsa teologia, che ispira i criteri di discernimento proposti in questo volume.
Enrico Maria Radaelli, direttore del dipartimento di Metafisica della bellezza presso l’ISCA (International Science and Commonsense Association), autore di numerosi saggi teologici che riguardano direttamente gli argomenti di questo volume.
Casa Editrice –
Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia
Recensione di Danilo Castellano, in «Instaurare omnia in Christo», Anno XLIV, n. 3 Settembre – Dicembre 2015, pp. 10-11.
Si tratta di un volume scritto a più mani, il quale considera ed approfondisce diversi problemi teologici, ecclesiali ed ermeneutici di grande attualità. Essi sono stati evidenziati dal dibattito che ha preceduto il Sinodo (straordinario e ordinario) sulla famiglia. Essi, però, sono questioni «aperte» all’interno della Chiesa, riesplose dopo il Vaticano II a causa della disputa sull’interpretazione da dare allo stesso. Tanto che su questa questione ermeneutica ha ritenuto opportuno pronunciarsi qualche anno fa Papa Benedetto XVI, allorché indicò il «criterio della continuità» per la «lettura» corretta dell’ultimo Concilio. L’ermeneutica della continuità è esigenza vecchia, presente costantemente nella storia della Chiesa. Basterebbe considerare, per esempio, che san Vincenzo di Lerino, subito dopo il Concilio di Efeso (431), fu costretto a cercare una «regola» che aiutasse ad accogliere le «novità» evitando «rotture» con la dottrina e il magistero precedenti. San Vincenzo di Lerino arrivò alle stesse conclusioni cui, secoli dopo, giunse Benedetto XVI: l’approfondimento della conoscenza della verità rivelata è tale solamente se le «novità» possono essere «lette» eodem sensu eademque sententia e se consentono, come affermò il Concilio Vaticano I (citato dal contributo del Radaelli, p. 42), di affermare verità di fede credute semper, ubique et ab omnibus. Il volume individua con sicurezza alcune cause della crisi della teologia contemporanea. Carusi, per esempio, scrive fondatamente che soprattutto la «Teologia della grazia» è «ammorbata dall’immanentismo, dall’abbandono della […] metafisica di san Tommaso e più specificamente dalle influenze […del] protestantesimo» (p. 174). Il volume, inoltre, offre criteri per distinguere e comprendere «ciò che deve essere creduto – come scrive, per esempio Antonio Livi (p. 27) – perché legittimamente proposto dal Magistero comeapplicazione del Vangelo, da ciò che invece può solo essere eventualmente condiviso perché proposto da un’autorità privata in forma ipotetica, come mera opinione». Il volume approfondisce, però, soprattutto con l’ampio contributo del Radaelli, una delicata questione relativa alla infallibilità del magistero pontificio, straordinario e ordinario, e alla indefettibilità della Chiesa. Il Radaelli esemplifica portando alcuni casi accaduti in passato (il Breviario di Quignomez, che rappresenta una dibattuta questione della prima metà del secolo XVI) o nel presente (il problema del Novus Ordo Missae, sollevato dai cardinali Bacci e Ottaviani nella seconda metà del secolo scorso). Il volume, pur presentando (purtroppo) molti errori di stampa, è utile e di estremo interesse. Qualche suggerimento da esso proposto, tuttavia, non convince. Basterà un esempio. A proposito dell’accesso alla comunione dei «divorziati risposati», non è sufficiente, a nostro avviso, che i due adulteri si impegnino a vivere come fratello e sorella, come avrebbe suggerito un (ortodosso) Cardinale citato a pagina 19, per risolvere la questione. Lo scandalo resta anche in questo caso. Trattasi, infatti, di uno scandalo dovuto a una situazione disordinata oggettiva. La Chiesa ha sempre raccomandato di evitare di dare scandalo. Persino nel caso di Bartolo Longo (ora Beato), la Chiesa suggerì allo stesso Bartolo Longo (fondatore del Santuario di Pompei) e a Marianna Farnasaro De Fusco di celebrare il matrimonio. Matrimonio che fu celebrato nel 1885 in forma esclusivamente religiosa al fine di non offrire alcuna occasione di scandalo nemmeno per insinuazioni non rispondenti alla realtà o per dubbi che avrebbero potuto turbare le coscienze dei semplici. Ciò pur non essendo il Longo e la Farnasaro De Fusco né adulteri né concubini.
Casa Editrice –
Dogma e pastorale
Recensione di Gianandrea De Antonellis, in «Radici cristiane», Ottobre 2015, n. 108, p. 79.
Il volume intende offrire ai fedeli una guida sicura per interpretare rettamente la discussione in atto in vista del Sinodo ordinario sulla famiglia. Tra i più accesi progressisti, il card. Kasper, il card. Marx e non pochi episcopati nazionali, come quelli di Germania, Austria, Olanda, Belgio e Svizzera, impegnati nel tentativo di sancire una prassi, che negherebbe i più fondamentali principi dottrinali sulla morale sessuale e sui sacramenti del matrimonio e dell’Eucarestia. Ad essi si contrappone, provvidenzialmente, un gruppo di porporati (come i cardinali Burke, Müller, Caffarra, Brandmüller e Sarah), che si propongono viceversa di applicare efficacemente la dottrina della Chiesa sulla sessualità umana e sul matrimonio. Il card. Kasper, proponendo di riconoscere le “seconde nozze” e di ammettere ala S. Comunione i divorziati risposati «mina alle fondamenta non soltanto il Sacramento del matrimonio, ma anche quelli della Penitenza e dell’Eucarestia» (p. 13). Lo stesso vale per il “rispetto” (cioè accoglienza nella comunità ecclesiastica) verso le coppie omosessuali proposto dalla Relatio preparatoria al Sinodo 2014. Di fatto la concezione progressista della pastorale vuole portare ad una prassi svincolata dal dogma, quindi prona ad ogni capriccio del “mondo”: una deriva di tipo fortemente protestante, contro la quale mettono in guardia, nei loro saggi, tre eminenti studiosi: mons. Antonio Livi, presidente dell’Unione Apostolica “Fides et ratio”, il noto saggista Enrico Maria Radaelli, direttore del Dipartimento di Metafisica della bellezza presso l’International Science and Commonsense Association, e don Stefano Carusi, coordinatore della rivista informatica Disputationes theologicae.
Casa Editrice –
Dogma e pastorale
Recensione di Matteo Andolfo, in «Studi Cattolici», n. 655, pag. 673.
Il saggio curato da Antonio Livi ha un carattere teoretico: inizia richiamando il fatto che non pochi episcopati nazionali hanno elaborato documenti che auspicano si arrivi a legittimare una prassi che nei loro Paesi e già ampiamente adottata e che comporta la negazione di fondamentali principi dottrinali sulla morale sessuale e sui sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia. Il volume intende offrire ai fedeli una guida sicura per interpretare rettamente la discussione in atto attraverso l’analisi delle premesse ideologiche della contraddittoria concezione della pastorale come prassi svincolata dal dogma, introdotta nella Chiesa del «post-concilio» sulla base di un’interpretazione arbitraria dello spirito e della lettera del Vaticano II, e attraverso lo sviluppo di argomenti rigorosamente teologici frutto di una corretta ermeneutica del Magistero, quella che Benedetto XVI ha denominato «ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa». Antonio Livi, presidente dell’Unione Apostolica «Fides et ratio» per la difesa scientifica della verità cattolica, rileva innanzitutto che lo stesso Papa Francesco ha indicato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium i criteri da seguire senza separare la pastorale dalla fedele comunicazione della verità rivelata. Poi, sulla base della sua specifica competenza scientifica – quella della «logica aletica» con le sue applicazioni all’ermeneutica teologica (infatti, e dalla logica aletica che si deduce il criterio per determinare la portata veritativa di qualsiasi discorso scientifico) –, espone i criteri autenticamente teologici con i quali i fedeli debbono valutare qualsiasi proposta di riforma della prassi ecclesiastica. Seguendo le linee del trattato su Vera e falsa teologia (Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012) di cui e autore, secondo cui la teologia si propone di approfondire scientificamente la comprensione della rivelazione divina, che concerne il mistero sovrannaturale di Dio, Livi sottolinea che il criterio di verifica della verità di una tesi di teologia e la sua conformità alle prime verità del dogma, ossia di fede. Infatti, i dogmi sono i contenuti rivelati espressi con le proposizioni in cui la Chiesa li afferma e sono considerati dal teologo come verità assolutamente certe per fede. Di conseguenza, il Magistero non potrà «accettare le tesi di quanti chiedono di adottare delle regole pastorali indipendenti o addirittura contrarie al dogma» (p. 188), del quale dovrebbero, invece, essere la fedele applicazione. A Enrico Maria Radaelli, direttore del dipartimento di Metafisica della bellezza presso l’ISCA (International Science and Commonsense Association), e a Stefano Carusi, coordinatore della rivista informatica Disputationes theologicae, e affidato il compito di criticare nel merito gli argomenti che vengono addotti per giustificare alcune proposte di riforma della pastorale della famiglia, evidenziando, da un lato, la pretesa di estendere o di restringere indebitamente i limiti dell’infallibilità del Magistero e con essa l’impossibilita di cambiamenti della dottrina, e, dall’altro, le premesse ideologiche di stampo luterano che sorreggono le argomentazioni a favore di una «prassi della misericordia» che riammetta alla Comunione i divorziati risposati. Infatti, se la fede, che per i luterani e sufficiente alla salvezza, e mero sentimento fiduciale nell’efficacia salvifica dei meriti di Cristo indipendentemente dallo sforzo ascetico e se la grazia da dono sovrannaturale diviene l’umano sentirsi in coscienza degni di accedere all’Eucaristia, ci si può comunicare anche permanendo nel peccato.