Descrizione
ISBN : 88-901031-4-0
(2001, pp. 200)
IL VOLUME
Sulla figura di Hans Urs von Balthasar (1910-1998) esiste già una copiosa letteratura biografica e critica, limitata però alla dimensione strettamente teologica della sua opera. Questo saggio affronta invece direttamente il tema del metodo di ricerca del grande pensatore svizzero, enucleando i contenuti filosofici che stanno alla base – come premesse razionali o come esiti della ricerca teoretica nei vari campi – del pensiero di Balthasar.
L’AUTORE
Andrea Brugnoli (Verona 1966), sacerdote diocesano, insegna Filosofia nell’Università di Verona. E collaboratore della rivista “Sensus communis” (Roma).
Mario Imperatori –
Hans Urs von Balthasar
Recensione di Mario Imperatori, in Rassegna di teologia 44 (2003), pp. 793-795
Brugnoli si propone di far emergere la dimensione esplicitamente filosofica dell’opera teologica di Hasn Urs von Balthasar, solitamente poco considerata dalla critica. E lo fa nella consapevolezza della difficoltà metodologica dell’impresa, essendo molto poche le opere del teologo svizzero specificatamente dedicate alla filosofia. L’A. tenta di raggiungere l’obiettivo proponendo al lettore un itinerario in sette capitoli grazie al quale poter pro-gressivamente focalizzare almeno alcuni aspetti fondamentali della filosofia balthasariana.
Nel primo capitolo, dedicato al metodo filosofico balthasariano, l’A. ne evidenzia l’asistematicità, sottolinea l’importanza della musica che “rappresenta una “cifra” del suo metodo” (p. 26), dell’obbedienza esistenziale alla missione ricevuta, che è “uno dei tratti fondamentali anche del suo metodo filosofico” (p. 29), caratterizzato da un approccio teologico alla filosofia analogo a quello rilevato a suo tempo da Gilson a proposito di Tommaso d’Aquino, ma che nel caso del teologo svizzero si specifica chiaramente in senso cristologico e trinitario.
Nel secondo capitolo del suo studio l’A. documenta l’eclissi dei trascendentali nella filosofia moderna e contemporanea a partire dal confronto balthasariano con Hegel e Heidegger. Balthasar condivide infatti la diagnosi heideggeriana secondo la quale l’esito finale della storia del pensiero da Platone ad Hegel “è lo smarrimento dei trascendentali, ossia proprio di quella differenza ontologica che solo un’autentica filosofia che pensa l’essere può garantire” (pp. 44). In questo capitolo l’A. si sofferma in modo particolare su Hegel e la dialettica dell’amore (pp. 45-52) e su Heidegger e l’oblio della differenza ontologica (pp. 52-61).
Nel capitolo successivo Brugnoli presenta invece le figure di Lévinas, Newman e Scheler interpretandole come tentativi diversi di rifondare il verum a partire dal bonum (pp. 63-74). Se gli ultimi due autori hanno avuto influsso diretto e ben documentabile sul pensiero balthasariano, di Lévinas si può invece dire che, malgrado l’assenza di espliciti riferimenti testuali, il teologo svizzero ne condivide l’istanza di riportare la singolarità del volto dell’altro al centro di una metafisica che è ormai una meta-antropologia che, diversamente dal filosofo francese, viene però realizzata a partire da un’analogia entis custodita dal mistero cristologico.
Assicurato in tal modo il necessario coinvolgimento etico del soggetto nel processo conoscitivo, l’A. espone allora il pulchrum come porta d’accesso ai trascendentali mediante la fondamentale nozione estetica di figura (Gestalt) alla quale egli dedica l’intero quarto capitolo del libro. Essa infatti “fonda e condiziona […] non solo la teologia fondamentale di Balthasar, ma anche la sua stessa filosofia” (p. 81) ed è caratterizzata dal rapporto tra fenomeno e fondo, dalla singolarità (e “personalità”) e da quella che Brugnoli definisce qui una “spontaneità di darsi” (p. 86) che, partecipata in modo diverso a tutte le cose, rimanda all’essere stesso di Dio.
È a questo punto che si potrà allora affermare che l’amore è la verità delle cose. Perciò L’A. consacra tutto il successivo capitolo del suo studio a precisare ed approfondire il significato di questa affermazione, mettendo tra loro a confronto il concetto tradizionale di verità come adaequatio, quello heideggeriano di aletheia e quello balthasariano che, nel tentativo di superare fin da Verità del mondo (1947) La concezione tradizionale della conoscenza della verità, combina evidenti influssi heideggeriani con la nozione biblica di emeth (fedeltà, affidabilità). Ciò avviene mediante una circuminsessione tra soggetto ed oggetto derivante dal fatto che la verità è sempre ogni volta personale ed irripetibile. Una verità che solo un gestaltenlesendes Denken (p. 101) fondato sull’apriori della dedizione e della fiducia verso le cose è in grado di cogliere adeguatamente. E precisamente questa disponibilità al servizio, questa recettività nella dedizione verso l’oggetto, è “un amore che dischiude impensati spazi di conoscenza” (p. 104) che sono e resteranno inesauribili.
Nel sesto capitolo Brugnoli cerca di precisare la nozione di spontaneità delle cose utilizzando dapprima il concetto spinoziano di conatus inteso come spinta degli enti a conservare ed accrescere il proprio essere ed al quale Spinoza giunge a partire dall’analisi dell’ethos dell’uomo, gettando così “un ponte tra gli esseri razionali presenti nella natura e la natura delle cose stesse” (p. 115) ben presente anche nella stessa filosofia di Balthasar. Nella prospettiva balthasariana, spontaneo è infatti l’atto col quale qualsiasi oggetto si dà e si dischiude al soggetto, non senza contemporaneamente velarsi, perché l’oggetto, anche materiale, è sempre dotato di una qualche forma di intimità e di mistero che rimane sempre velato. L’A. non esita qui a suggerire l’idea che questa concezione balthasariana della spontaneità, così profondamente segnata da una impenetrabile singolarità analogicamente applicata non solo alle persone ma anche alle cose, non sia in contrasto con la moderna meccanica quantistica (pp. 121-126).
Il settimo ed ultimo capitolo del libro, culmine dell’intero itinerario, si sofferma su quello che Brugnoli ritiene essere l’apporto filosofico più significativo ed innovativo del teologo svizzero e che egli chiama “il trascendentale della differenza” (pp. 127-145) che nasce da un radicale ripensamento dell’unum. Per Balthasar i trascendentali, ed in primis la bellezza, sono “vera epifania dell’Essere, che si rivela non astraendo dal concreto, ma proprio nella singolarità dell’essente” (p. 133) caratterizzato da un dono di sé che conferisce “una dialogicità latente a tutta la dinamica dell’essere e dei suoi trascendentali” (p. 132). Ma questa dialogicità che caratterizza l’atto d’essere richiede che nell’Essere stesso sussista dialogicità, e dunque una differenza. Così “in Dio esiste l’Altro, e questo è il cardine di ogni ontologia” (p. 136) custodito dalla figura di Cristo rivelatore del Padre, che assume la differenza fin dentro la temporalità mortale più derelitta ed abbandonata. Ora, annota con acume Brugnoli, “la novità di questa impostazione sta nel fatto che Balthasar ipotizza, al cuore dell’atto d’essere, non una unità originaria, da cui scaturirebbero le diversità degli enti, ma una differenza che sarebbe, ancor più radicalmente degli altri trascendentali, alla base dell’unicità stessa degli enti nel loro essere” (p. 143). In questo modo Balthasar riesce a superare una nozione puramente matematica dell’unità trascendentale, poiché qui “Contrariamente all’uno matematico, l’autentico trascendentale dell’uno […] ha solo l’apparenza di poter essere predicato universalmente. Tutti gli esseri, che sono uno, sono infatti differenti gli uni dagli altri” (p. 144). Qui appare in realtà un trascendentale “che tutti li [i trascendentali, ndr] sorregge e che veramente si addice – ben più che solo analogicamente – sia a Dio sia alla creatura. Questo trascendentale “fondante” lo chiamiamo differenza” (ib.). Una tesi simile è possibile perché “Al fondo delle cose c’è la differenza perché Dio stesso è in sé differenza e non monade solitaria” (145).
Queste affermazioni conclusive, suffragate da una corretta comprensione dell’articolazione balthasariana tra teologia e filosofia, ci sembrano mostrare a sufficienza l’interesse dello studio di Brugnoli e la fecondità dei suoi stimoli. Dobbiamo tuttavia lamentare il mancato confronto critico con M. Saint-Pierre, Beauté, bonté, verité chez Hans Urs von Balthasar (Cerf, Paris 1998), la presenza di errori storico-biografici (cfr p. 14, dove si lascia erroneamente supporre che l’Apokalypse der deutschen Seele nasca nel 1929; p. 27, dove si afferma erroneamente l’esistenza di studentati gesuiti a Vienna, Berlino e Zurigo dove B. sarebbe passato dalla musica alla letteratura; p. 28, dove erroneamente si afferma che il Vaticano Il avrebbe approvato gli Istituti secolari), ed infine un fastidioso errore nella numerazione delle note a partire dal terzo capitolo in poi.
Valentina Pelliccia –
Hans Urs von Balthasar
Recensione di Valentina Pelliccia, in Sensus communis,2002, n.4
L’opera di Andrea Brugnoli “Hans Urs Von Balthasar. La spontaneità delle cose” è parte integrante della collana di filosofia cristiana nell’età moderna e contemporanea diretta da Antonio Livi.
Questa presenta autori e tematiche attinenti al metodo di una filosofia integrale, capace, cioè, di riflettere criticamente sull’intero dell’esperienza, senza escludere il cristianesimo nella sua dimensione dottrinale attingendovi contenuti noetici capaci di ispirare nuove strade di ricerca.
L’oggetto del lavoro di Brugnoli è un’attenta e scrupolosa analisi del pensiero filosofico di uno dei più grandi teologi contemporanei, Hans Urs Von Balthasar.
Egli ha cercato di dare organicità alle riflessioni di questo straordinario personaggio, mettendo in luce uno dei problemi centrali sia della ricerca di questo intellettuale che della teologia di ogni tempo, affrontato da un punto di vista filosofico: “come può esistere un cosmo finito accanto a un Dio infinito se in Dio stesso non è presente una qualche forma di “differenza” che renda possibile ogni ulteriore differenziazione tra un uno e un altro?”pag.8.
Lo svizzero Von Balthasar ha saputo realizzare un profondo dialogo tra il pensiero antico e quello contemporaneo e, mentre la speculazione contemporanea ha rafforzato la separazione tra filosofia e teologia, egli non ha avuto il timore di confrontare la verità cattolica che gli proveniva dalla fede con ciò che i filosofi hanno saputo dire sul problema di Dio, pagando, per una tale scelta, il prezzo di un certo oblio tra i filosofi e un riconoscimento limitato nell’ambito della teologia confessionale.
Egli non ha seguito una metodologia precisa, né ha mai scritto un elaborato prettamente filosofico, ma in tutti i sui lavori, sia teologici che di spiritualità e di storia o filologia, vengono racchiusi riferimenti a correnti di pensiero di ogni epoca.
Brugnoli ci presenta questa grande figura del novecento anche con una puntuale descrizione biografica per permettere al lettore di scoprire e di cogliere in pienezza quali siano state l’anima, l’intenzionalità e l’attività che hanno rivelato, di questo intellettuale, la sua fedele obbedienza ad una missione.
Balthasar si è sentito chiamato a lavorare “per il rinnovamento della Chiesa, con la formazione di comunità (le Johannes Gemeinden) che uniscano i consigli evangelici di Gesù con l’esistenza in mezzo al mondo […] per dare nuova vita alle comunità viventi” (Hans Urs Von Balthasar, Il filo di Arianna, 49) pg.29.
È riuscito ad ascoltare e rispondere agli interrogativi della filosofia contemporanea, sapendo di rivolgersi a uomini che stavano subendo le aberranti conseguenze delle dittature, che confidavano nelle ideologie atee e venivano a conoscenza di un pensiero debole.
Cercando di risalire alle cause generatrici di questo reale smarrimento, ha condiviso, come afferma Brugnoli, “l’analisi di Agostino circa il nucleo problematico di ogni smarrimento del pensiero, additando il nostro inverno nel nascondimento di Cristo, nella fiduciosa consapevolezza, però, che anche durante l’inverno la radice vive.” pag.14.
Per questo Balthasar riconosce alla filosofia il suo vero compito, quello di essere al servizio del mondo e del suo rinnovamento e non quello di essere un esercizio accademico.”
Proprio per poter rispondere a questo compito, la filosofia, quindi non doveva rivolgersi alla mondità meramente antropologica (come già in Marx, compiendo così Hegel), bensì al cuore di quel mistero che sta all’origine dell’unico atto filosofico possibile: quello che riconosce la meraviglia di fronte al fatto che l’essere è ed è bello” pag.29.
Il problema centrale è innanzitutto quello della differenza ontologica, la distinzione reale tra essere e atto d’essere, tra “io sono, ma potrei anche non essere”, un tema che va oltre la fisica e l’antropologia e che può ricevere vera risposta solo dall’Essere stesso, se questi si rivela.
A motivo dell’attenzione per l’essere, Balthasar insisterà sull’importanza della filosofia per la teologia, sostenendo che “un teologo può seriamente esistere se è anche, e prima, filosofo” (H.U.Von Balthasar Teologica I, 13-14. Pag.34), contro ogni forma di separazione fra le due discipline che ha generato nell’età contemporanea due correnti opposte ma in fondo coincidenti come il razionalismo (che nega la fede e la esilia nell’indimostrabilità) ed il fideismo (che sostituisce il credere con un atto di fede senza alcuna spiegazione razionale).
Per concretizzare tale rapporto la filosofia deve sottostare a delle precise condizioni: purificarsi da un razionalismo di stampo gnostico, che nega la possibilità di un atto di fede e dedicarsi a ciò che le compete, ovvero l’essere e non la salvezza che spetta alla teologia.
Si riconosce, così, che se Dio si autorivela, chiede all’uomo una risposta e questa non può che essere filosofica.
Occorreva, per questo, ricondurre il pensiero occidentale al suo centro cristiano e quindi filosofico, visto il suo profondo allontanamento.
Balthasar si è proposto allora di “esporre la poesia, la filosofia e la teologia da Lessing fino ad oggi in una ermeneutica complessiva cristiana” (H.U.Von Balthasar, La mia opera ed Epilogo,25) pag.31, rispondendo all’assunto paolino di saper esaminare tutto e trattenere ciò che è buono.
Questo intento si è concretizzato per la prima volta con i tre volumi de L’Apocalisse dell’anima tedesca, primo grande lavoro dello scrittore, che ha permesso un confronto delle figure della moderna storia della filosofia tedesca, svelando di questa la sua posizione ultima, spesso intenzionalmente nascosta.
Egli è riuscito a mostrare il fallimento dell’anima del pensiero tedesco, cercando di compiere la definitiva confutazione dell’immanentismo.
L’esito del “compimento” hegeliano della metafisica dei Greci è stato quello di aver allontanato l’opposizione tra finito ed infinito, tra soggetto e oggetto, affermando un modello di pensiero capace di assumere in sé l’intero dinamismo del reale.
Per Hegel il vero è l’intero, e quest’ultimo è “solo l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo”, facendone conseguire l’abbandono alla vita dell’oggetto che produce un momentaneo oblio di “quella superficiale vista d’insieme che è solo la riflessione del sapere, lungi dal contenuto, in se stesso. Ma, calato nella materia e procedendo nel movimento che le è proprio, il conoscere filosofico ritorna su se stesso.” (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito I, 15.) pag.46.
In metafisica egli recupera il trascendentale unum al quale, dentro la dialettica dello spirito, vengono ricondotte tutte le differenze mondane, ma volendo riportare tutto ad unità, non ha fatto altro che rafforzare quella dimenticanza della differenza ontologica che è all’origine della storia della filosofia dell’Occidente.
L’esito di questa disattenzione è sintetizzato nella frase del saggio hegeliano Fede e Ragione del 1802 “Dio è morto”, poiché “quale posto può avere ancora Dio dentro un mondo tutto ridotto a questa unità dei differenti? Se l’Infinito ha bisogno di un mondo finito per perfezionare se stesso, per attuare le sue possibilità o avere un oggetto da amare, non diventa esso stesso finito?” pag.50.
Seguendo l’assunto paolino Balthasar è riuscito, comunque, a mettere in luce ciò che di buono si ritrova nella dottrina hegeliana riuscendo a cogliere un certo superamento del rischio panteistico che riduceva tutto all’uno, notando, nella sua concezione della dialettica, l’espressione dell’esperienza dell’amore umano e divino intra-trinitario, ma denunciando di tale sistema l’omissione del riconoscimento della libertà di Dio nella rivelazione di sé e l’eliminazione della differenza tra Trinità e creazione.
Temi, invece, che sono recuperati dallo svizzero per mezzo di una innovativa concezione dei trascendentali a partire dai quali si concretizza un reale incontro con l’Essere.
Secondo Balthasar, anche Heidegger ha saputo individuare la differenza del divino, ma lo ha rinchiuso ancora nel dominio della totalità.
Nella ricerca sulla verità dell’essere, Heidegger si era spinto alla ricerca di un nuovo metodo filosofico che gli permettesse di “pensare” l’essere tornando “alle cose stesse”, tentando allora la strada della fenomenologia, guardando all’essere nel suo accadere storico.
Dalla meraviglia di fronte al fatto che res sunt si apre l’enigma della differenza e il mistero dell’origine dell’ente che è il principio del pensare stesso.
Dio diviene, così, il problema intorno a cui la filosofia è chiamata a decidere, venendo da quest’ultima affrontato come una possibilità, per cui da una posizione di ateismo iniziale, si passa alla provocazione da parte del divino e all’attesa di questo, di essere pensato da una filosofia capace di sostenere il mistero (la differenza) del mondo.
Balthasar sostiene che, per un insufficiente concetto di “creazione”, le riflessioni heideggeriane non sono state capaci di evitare un concetto di essere come totalità, perché “solo un pensiero che parte dalla creazione del mondo (“noi non siamo Dio”) è capace autenticamente di pensare la differenza” pag.60. Così anche nel linguaggio attraverso il dialogo, che ritrova il suo luogo originario nell’incontro di amore fra lo sguardo di un bambino (un io) ed il sorriso di sua madre (un tu), l’uomo scopre la differenza ed apre il suo orizzonte all’essere infinito.
Ogni atto di conoscenza è sempre accompagnato dallo “stupore”, poiché per Balthasar “è un fatto oltremisura stupendo che non può essere spiegato esaurientemente da alcuna causa intramondana, quello di ritrovarmi io come essente, nell’ambito di un mondo e in una imprevedibile comunione di altri esseri pure essenti” (H.U.Von Balthasar Gloria V,549) pag.79.
Proprio dalla visione della figura (Gestalt) ha origine il filosofare, poiché si rimane colpiti dalla profondità della rivelazione dell’essere che avviene per mezzo della bellezza dell’ente.
La Gestalt è predicabile di ogni ente singolare nel suo rapporto di trasparenza-differenza rispetto all’essere e al suo mistero, è espressione di interiorità, unicità e libertà.
La peculiarità della figura è la singolarità ossia il principio che regola la sua lettura come totalità, che non è in nessun modo riducibile alla semplice somma delle parti di cui è composta.
Emerge, così, quell’unum dalla cui condizione si rende possibile l’articolazione degli altri trascendentali: la bontà come atto di dono dell’ente stesso nel suo apparire, la verità come espressione della rivelazione di sé e la bellezza come trasparenza.”
Prima però di mostrarsi alla coscienza e alla sua libertà come bontà, la figura stabilisce una relazione con l’uomo che la conosce. Arrivando, quindi, alla soglia del vero, dove l’essere si mostra e nel contempo si nasconde” pag.87.
Tre sono i caratteri della verità: la sua dimensione ontologica, logica e trascendente (o eterna).
Per Tommaso D’Aquino con verità ontologica si intende la relazione di adaequatio della creatura (il misurato) e l’intelletto di Dio (il misurante, che causa la realtà di quell’ente), mentre con quella logica, la relazione è stabilita tra la mente umana (il misurato) e la cosa conosciuta (il misurante, che resta inalterato dall’atto di conoscenza della mente umana), infine, dal punto di vista trascendente, la verità è riconosciuta eterna solo nella mente eterna di Dio.
Balthasar riconosce alla verità due qualità fondamentali: una intesa dal suo significato etimologico greco di a-letheia, come venir svelato, scoperto, rivelato; l’altra derivante dalla categoria veterotestamentaria di emeth, concetto che definisce un tipo di condotta come fedeltà, costanza e affidabilità.
L’atto di conoscenza è quindi il tramite attraverso il quale l’oggetto si rivela, ma affinché ciò avvenga il soggetto è chiamato a volgersi verso questo in modo responsabile, libero e disponibile, aprendosi alle cose “rendendo loro giustizia”, volendole, cioè, per se stesse.
La vera conoscenza può essere pertanto raggiunta solo nell’amore, che risiede nella verità in modo inscindibile, così come il trascendentale vero è inseparabile dal buono.
L’atto di conoscenza di fede è anch’esso un atto d’amore, anzi è l’atto più alto di conoscenza dell’uomo, poiché ritrova il suo paradigma in quello trinitario, nel quale c’è la misura di ogni altro conoscere.
Il soggetto con la sua libertà “può scegliere gli oggetti della sua conoscenza e del suo amore, in una recettività radicale che lo impegna totalmente, anche eticamente”, ma è l’oggetto “che si dà e si dischiude al soggetto con un atto che è definito come spontaneo” pag. 115-116.
Tale spontaneità è specificata come interiorità o intimità dell’ente nel suo carattere di libertà, di singolarità e irripetibilità ed è inaccessibile sia al soggetto che vuole conoscere, che all’oggetto stesso.
Essa rappresenta quello spazio di mistero che si dischiude ad ogni atto di conoscenza, avendo come compito quello di mostrare “apparendo”, sapendosi però già conosciuto e, dunque, avendo già ricevuto in dono il suo stesso mistero.”
Se [infatti] un oggetto dev’essere conoscibile, dev’essere non soltanto misurabile, bensì già misurato. Ma perché non viene misurato da se stesso, in quanto è oggetto, e il soggetto finito già presuppone la sua misurabilità, la misura dell’oggetto si deve trovare presso il soggetto infinito, Dio” (H.U.Von Balthasar Teologica I,86) pag.116.
Ciò si oppone ad ogni forma di pensiero debole che nega la possibilità da parte del soggetto di riconoscere la verità e mostra, invece, l’affidabilità di ciò che l’uomo discopre e come, attraverso un movimento che si basa sul carattere di mistero e di irriducibile singolarità, “le cose materiali si sottraggano sempre dietro una qualche copertura fenomenica mediante la quale si mostrano, si “svelano”, ma altrettanto significativamente si “velano”” pag.117.
Tale stato mostra l’esistente analogia tra la creatura e il suo Creatore, il quale pur “[esprimendosi] con verità e senza riserve, non cessa con questo di essere mistero” (H.U.Von Balthasar Teologica I,89) pag.117.
L’uomo nel mondo naturale è l’unico capace di coscienza ed autocoscienza e soprattutto possiede la “possibilità di darsi all’altro senza che l’altro abbia la possibilità di prenderlo” (H.U.Von Balthasar Teologica I, 101) pag.119.
Ciò denuncia, da parte dell’uomo, sia l’eventualità della menzogna che la responsabilità etica della verità e della cura dell’altro, il quale, a sua volta, è chiamato a rispondere con un atto di fede.
Balthasar ha posto il suo pensiero sotto il segno dei trascendentali dell’essere proprio per cogliere una considerazione originaria e un’interpretazione metafisica dell’intima pienezza della verità dell’essere, dopo il furto compiuto dalla filosofia razionalista moderna di questi tesori fondamentali: bellezza-bontà-verità.
Brugnoli evidenzia come il progetto del teologo consista nel far accogliere la gloria di Dio così come essa è e si rivela all’uomo, non misurata secondo un’ottica idealistica o kantiana.”
Per l’idealismo [come abbiamo visto] è lo spirito che costituisce il suo oggetto, mentre per Kant lo spirito non costituisce il suo oggetto, ma lo collega alla sua natura […] per la quale “tutto ciò che è ricevuto è ricevuto nei limiti di colui che lo riceve.” pag.129.
A partire dalla bellezza, dal dono gratuito che l’ente fa di sé, lo svizzero ha composto la sua Trilogia (Gloria-Teodrammatica-Teologia), varcando così la soglia, rappresentata dalla metafisica, tra filosofia e teologia, per inoltrarsi nella teologia trinitaria.
Partendo dalla figura archetipa di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, e dalla concezione trinitaria di Dio, assicura al pensiero filosofico la certezza di mantenersi all’interno di quella differenza, che sta alla base della meraviglia davanti all’esistenza delle cose e che si riconosce come “nuovo” trascendentale.
Cristo, infatti, rivelandoci il suo Volto, il suo Nome e la sua Gloria, ci ha mostrato l’Altro in Dio e la differenza come atto d’amore.
Egli che è il “sopra-tempo” nel tempo, è la misura della vicinanza e della lontananza della creatura e la risposta alla domanda dell’esistenza del mondo finito accanto all’Infinito, per mezzo della sua manifestazione come analogia entis, che porta iscritto, nel suo essere stesso, quella differenza originaria da cui promana ogni altra differenza.”
Il Padre, [infatti,] non-è-pensabile-prima della sua donazione: egli possiede l’essenza divina come donata al Figlio il quale non-è-pensabile-prima di possedere tutta l’essenza divina come ricevuta con gratitudine. La donazione e l’accoglimento di quest’unica essenza sono così reali da “lasciare spazio” perché lo Spirito sorga come colui che è frutto di questa unità donata e ricevuta e il testimone della differenza di chi dona e di chi riceve” (H.U.Von Balthasar,Teologica II, 171-172) pag.136.
La distanza fra creatura e Creatore, misurata sulla persona di Gesù, è resa, così, possibile in analogia alla reale distanza tra le tre Ipostasi divine e questo è il cardine di ogni ontologia.
Cristo, racchiudendo in sé tutta la creazione, con la sua incarnazione e obbedienza al Padre fino alla morte di croce diviene “forma di vita” (H.U. Von Balthasar,Gloria I, 20 pag.81) richiamando l’uomo alla sua imitazione, perché riesca a rispondere alla missione personale che riceve da Dio.
Balthasar si è tenuto lontano da ogni schematismo di scuola e da ogni partizione del sapere, riuscendo a coniugare tutti i settori della teologia con il vasto campo della filosofia.
Come intuisce Brugnoli, il suo appello è un invito alla riunificazione di tutto il conoscere umano che, nella storia del pensiero occidentale, è stato frantumato in discipline diverse e tra loro incomunicabili, a causa della dissociazione in filosofia dei trascendentali.
Occorre quindi recuperare, come egli stesso fa, lo stupore della spontaneità delle cose, della loro bellezza, differenza, bontà e verità, per poter riscoprire che, al cuore della verità del mondo, c’è l’atto d’amore di un Dio libero che è differenza, proprio perché è.